Dal punto di vista tecnico, un amplificatore audio è un dispositivo in cui entra un segnale di bassa potenza e ne esce uno ad alta potenza. La funzione di amplificare nel modo più fedele possibile, quindi senza distorsione, un segnale elettrico a basso livello per renderlo idoneo a pilotare i diffusori, che ovviamente richiedono una potenza maggiore, non contraddice affatto quella famosa legge della fisica per la quale “nulla si crea, né si distrugge, ma si trasforma”. Per svolgere infatti la funzione descritta, l’amplificatore richiede un consumo di energia, spesso notevole, dalla rete elettrica.

Molti costruttori di amplificatori professionali si sono ispirati a modelli per utilizzo hi-fi, ponendosi come primo obiettivo quello della massima qualità sonora, frutto di un’attenta progettazione e in gran parte “misurabile” dai parametri tecnici.

Gli amplificatori finali, detti anche semplicemente “finali di potenza” poiché non includono lo stadio di preamplificazione, a differenza degli amplificatori integrati, si possono classificare in due categorie, in base all’utilizzo: quelli da installazione e quelli da touring. I primi, come indica il termine, sono destinati ad installazioni fisse, si pensi ad esempio ad un teatro, una chiesa, un locale d’intrattenimento, un aeroporto o una nave. Quelli per touring sono invece pensati per eventi itineranti, quindi tipicamente nello show business: concerti, eventi in piazza, spettacoli di vario tipo. In entrambi i casi, le applicazioni sono tantissime e in un capitolo successivo vedremo quali sono le differenze fra i due.

Gli stadi di potenza e il carico

Come abbiamo detto, gli amplificatori ricevono un segnale in ingresso a livello linea e lo rendono disponibile, amplificato, ai loro connettori d’uscita per pilotare un carico, rappresentato nel nostro caso dai diffusori acustici. Ai fini elettrici, questi ultimi sono visti come una impedenza, il cui valore nominale è misurato in ohm e varia secondo la frequenza.

La potenza di uscita di un amplificatore è indicata in watt per canale (W/ch) su una ben precisa impedenza, per esempio 8 ohm. Nelle specifiche tecniche di un finale troveremo quindi sempre indicata una potenza, ad esempio di 2 x 400 W su 8 ohm, nel caso si tratti di un amplificatore stereo a due canali. Questa potenza dovrebbe essere espressa anche in funzione della distorsione, perché capite bene che 400 W con il 5% di distorsione sono diversi da 400 W con lo 0,1% di distorsione, ma non sempre questo dato viene riportato dai costruttori.

Schema tipico di connessione di un amplificatore a 2 canali con una coppia di diffusori

Se ora colleghiamo altri due diffusori identici in parallelo sulle uscite, il carico visto dall’amplificatore si dimezza, diventando 4 ohm. In corrispondenza, la potenza di un amplificatore ideale dovrebbe raddoppiare, in realtà è sempre meno del doppio per ragioni tecniche legate ai limiti dell’alimentatore.

Schema tipico di connessione di un amplificatore a 2 canali con 4 diffusori (2 a 2 in parallelo)

Continuando ad aggiungere diffusori, l’impedenza di carico si abbassa sempre di più, arrivando a valori che possono approssimarsi al corto circuito, con le potenze che in corrispondenza continuano ad aumentare (ad esempio, sempre nel caso ideale, 1600 W per canale su 2 ohm collegando 4 diffusori in parallelo su una uscita). In queste condizioni – possono essere alcune migliaia di watt – l’amplificatore non può continuare ed erogare potenza e arriva ad un punto tale in cui intervengono le protezioni. Per questa ragione, se si prevede di collegare molti diffusori alle uscite, si consiglia di scegliere altoparlanti ad alta impedenza, per esempio 16 o 32 ohm, oppure banalmente utilizzare amplificatori multi-canale.
Per un numero ancora maggiore, esistono gli impianti di diffusione sonora distribuiti, quelli a 100 V per intenderci, di cui però non parleremo in questa sede, oppure soluzioni come quella proposta da Zero Ohm, di cui Ligra DS è distributore esclusivo per il mercato italiano.
La potenza in sé non è un dato significativo se non la si mette in relazione all’efficienza dei diffusori acustici utilizzati, cioè la pressione sonora SPL che sono in grado di emettere con 1 W ad 1 m di distanza. Diffusori più efficienti richiedono minor potenza, e viceversa.

Stadio di potenza in classe D, il segreto per un’elevata efficienza

In estrema sintesi, un amplificatore in Classe D trasforma un segnale d’ingresso analogico in un segnale PWM (modulazione di larghezza d’impulso), cioè in una sequenza d’impulsi corrispondente all’ampiezza e alla frequenza del segnale di ingresso . Il segnale PWM viene quindi amplificato e, prima di essere trasferito ai diffusori, assoggettato ad un filtraggio passa-basso per ripristinare la forma d’onda audio originaria e per eliminare i disturbi ultrasonici spuri.

Il maggiore vantaggio dell’amplificatore in classe D è la sua alta efficienza, pari a circa il 90%, valore di gran lunga superiore a quello del suo principale rivale analogico, l’amplificatore in classe AB, che ha un’efficienza tra il 50 e il 70%. In pratica, riesce ad usare quasi tutta l’energia proveniente dalla rete elettrica per amplificare il segnale. Per questo motivo, l’amplificatore in classe D ha trovato terreno fertile in ambito professionale, in quanto l’elevata efficienza permette di ottenere alte potenze, facilmente migliaia di watt per canale, con dimensioni fisiche ridotte e la possibilità di eliminare, in alcuni casi, i dissipatori di calore e anche le ventole di raffreddamento. Ormai tutti gli amplificatori di potenza professionali, salvo qualche eccezione, fanno uso di circuiti in classe D; e sono in classe D anche I moduli di amplificazione che si trovano già installati a bordo di parecchi diffusori (chiamati appunto attivi) e subwoofer.

Tipico modulo di amplificazione in Classe D con relativo alimentatore di rete utilizzato, per esempio, all’interno di diffusori, tipicamente monitor da studio, e subwoofer

Una volta gli amplificatori in classe D erano discriminati per via delle loro prestazioni sonore inferiori a quelle degli amplificatori basati su schemi tradizionali, tipicamente in classe AB. Nel corso degli anni, tuttavia, queste ultime sono nettamente migliorate ed oggi hanno raggiunto livelli tali da non far rimpiangere le altre tipologie citate.

L’amplificatore di potenza professionale

Chiariti questi aspetti fondamentali relativi al funzionamento degli amplificatori, cerchiamo di capire come è fatto un finale di potenza professionale, inteso come apparecchio stand-alone e non come modulo di amplificazione. Abbiamo accennato al numero di canali: in genere si va da 2 a 8, ma gli stessi possono anche essere accoppiati a due a due per funzionare in mono “a ponte” secondo una configurazione che si chiama, appunto, bridged mode, che presuppone il raddoppio della potenza. Gli amplificatori sono modulari, quindi replicano lo stesso canale per tutti quelli di cui dispongono, salvo il fatto che possono essere utilizzati stadi di amplificazione di potenze diverse secondo le esigenze. Non è raro trovare modelli da 2 x 500 W + 2 x 100 W, quindi in pratica si tratta di due amplificatori di potenza distinti racchiusi nello stesso chassis. In genere, gli amplificatori più semplici ed economici hanno un pannello frontale essenziale, con la sola regolazione del guadagno per i vari canali e una serie di LED per indicare, ad esempio, il sovraccarico o la presenza di segnale.

Amplificatore di potenza a 4 canali in classe D, vista interna
Modulo DSP Powersoft

Salendo di prezzo, apparecchi più sofisticati integrano sempre più spesso un DSP, cioè un processore di segnale digitale. Il DSP permette di effettuare ogni sorta di elaborazione sul segnale audio in ingresso: equalizzazione, compressione, espansione, limitazione, filtraggio, ritardo ecc. Affinché ciò sia possibile, a monte il segnale d’ingresso deve essere convertito da analogico a digitale mediante, appunto, un convertitore A/D.
Grazie al DSP, è possibile salvare in centinaia di locazioni di memoria interne le librerie dei diffusori in modo tale che per qualunque sistema venga collegato all’ampli, si possa impostare il preset corretto per ottimizzarne il funzionamento con la massima precisione, senza la necessità
di effettuare onerose (in termini di tempo) calibrazioni ad hoc. I vantaggi di utilizzare un DSP all’interno di un amplificatore sono numerosi: linearizzazione della risposta in frequenza, aumento della dinamica, miglior rapporto segnale/rumore ma soprattutto il poter fruire di regolazioni più precise e più ampie, in particolare quando occorre gestire in maniera separata subwoofer e satelliti.

L’impostazione dei parametri del DSP avviene via software collegando il finale al computer:

Software APEX Intelli-Ware

Amplificatori da installazione e da touring, quali sono le differenze?

Poiché le destinazioni d’uso degli amplificatori da installazione, come abbiamo visto, sono diverse da quelle degli amplificatori da utilizzare negli eventi itineranti, anche le loro caratteristiche costruttive sono, in parte, diverse.
In generale, un amplificatore da installazione potrebbe essere un po’ meno robusto nello chassis e nella costruzione fisica in quanto non deve sopportare le sollecitazioni di un utilizzo on the road. D’altro canto, gli amplificatori da installazione fissa in genere non vengono spostati e riparati meno di frequente. Dal punto di vista funzionale, una loro caratteristica è la capacità di pilotare sistemi audio distribuiti o multi-zona, cosa che in genere i modelli da touring non fanno.

Amplificatore da installazione
Amplificatore da touring

Le differenze maggiori riguardano però le connessioni. Sul pannello posteriore degli amplificatori si trovano sia i connettori per l’ingresso del segnale a livello linea che per le uscite. Quelli d’ingresso possono andare dagli RCA sbilanciati ai molto più professionali, e sicuri, XLR Cannon femmina o ibridi XLR/jack bilanciati, chiamati più frequentemente combo. Per le uscite, invece, di solito si usano gli Euroblock e gli SpeakOn. I primi sono impiegati negli amplificatori per installazione, i secondi per quelli da touring.
I connettori estraibili Euroblock, sia di segnale che di potenza, vengono utilizzati quando bisogna risparmiare spazio sul pannello posteriore e non sono necessari connettori singoli. Questa soluzione fornisce all’utente il maggior numero possibile di opzioni nel caso fossero disponibili entrambi i terminali di massa del segnale e di massa del telaio, consentendogli di decidere quale tipo di cablaggio utilizzare.

Tipico pannello posteriore di un amplificatore da installazione a 4 canali. Si notino, a sinistra, i quattro morsetti d’uscita e gli Euroblock per i quattro ingressi A, B, C e D

Un singolo connettore di potenza SpeakOn porta sino a 2 canali ed avendo un sistema di fissaggio a baionetta risulta molto pratico quando occorre procedere velocemente e con una certa sicurezza, si pensi agli eventi live più importanti dove magari occorre connettere decine, se non centinaia di amplificatori ad altrettanti moduli di un line array e relativi subwoofer.

Tipico pannello posteriore di un amplificatore touring a 2 canali. Si notino, a sinistra, i due connettori d’ingresso combo e a destra sia gli Speakon che quelli a vite rosso/nero, molto diffusi in ambito hi-fi

Sempre più frequentemente troviamo sul pannello posteriore i connettori di rete RJ45, che servono per il controllo remoto nei modelli con DSP o ricevono il segnale d’ingresso dalla rete audio Dante®.

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